Con questo romanzo del
1927, da molti considerato il suo capolavoro, Powys sembra essere riuscito a
condensare più che in ogni altro suo libro – protetto dall’onnipresente «humour
di pece» – la qualità essenziale del Male: impedire al Bene di essere riconosciuto.
Un pomeriggio di fine novembre del 1923, un vecchio furgoncino Ford con a bordo
due uomini fa il suo ingresso in un piccolo villaggio della campagna inglese,
seguito dall'apparizione in cielo di una grande scritta luminosa: «Il buon vino
del signor Weston». Nella locanda al centro del villaggio, dove gli uomini si
ritrovano ogni sera intorno al fuoco «come miti piante carnivore», il vecchio
orologio a pendolo si ferma e un inspiegabile senso di attesa si diffonde fra
gli ignari e malvagi abitanti, accompagnato solo dal vago presentimento «che
sarebbe successo qualcosa»: come se di lì a breve «la vacca zoppa stesse per
partorire un vitello a sei zampe». Da dove vengono quei due stranieri dall'aria
familiare? Cosa si nasconde all'interno del furgone e che cosa sono venuti a
vendere? Con questo romanzo del 1927, da molti considerato il suo capolavoro,
Powys sembra essere riuscito a condensare più che in ogni altro suo libro –
protetto dall’onnipresente «humour di pece» – la qualità essenziale del Male: impedire
al Bene di essere riconosciuto. Perché «come tutti sanno, l'evento più
importante e gravido di conseguenze passa spesso inosservato e viene ignorato
da quasi tutti i nostri simili. E se davvero un giorno l'Eternità arrivasse,
potete star certi che nessuno ci farebbe caso».
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