«Un diavolo, no. Un
cane piuttosto. Il bastardino di casa Panicarli della cui esistenza nessuno
aveva avvisato il carabiniere Virgola. Sbucato da chissà dove, e abbaiando come
se avesse ereditato i toni di tutte le razze che s’erano incrociate prima di
arrivare a lui, in un battibaleno gli aveva addentato la gamba sinistra del
pantalone, strappandola con una ferocia ringhiante e poi sputandola per
riprendere ad abbaiare come un ossesso, e aggirandolo per attaccarsi alla gamba
destra.» La quiete della notte tra il 16 e il 17 luglio 1937 viene turbata a
Bellano da un grido di donna. Trattasi di Emerita Diachini in Panicarli, che
urla «Al ladro! Al ladro!» perché ha visto un’ombra sospetta muoversi tra i
muri di via Manzoni. E in effetti un balordo viene poi rocambolescamente
acciuffato dalla guardia notturna Romeo Giudici. È Serafino Caiazzi, noto alle
cronache del paese per altri piccoli reati finiti in niente soprattutto per le
sue incapacità criminali. Chiaro che il ladro è lui, chi altri? Ma al
maresciallo Maccadò servono prove, mica bastano le voci di contrada e la fama
scalcinata del presunto reo. Ergo, scattano le indagini. Prima cosa,
interrogare l’Emerita. Già, una parola, perché la donna spesso non risponde al
suono del campanello di casa, mentre invece è molto attivo il suo cane, un
bastardino ringhioso e aggressivo che si attacca ai polpacci di qualunque estraneo.
E il Maccadò, dei cani, ha una fifa barbina. A cantare fu il cane ci offre una
delle storie più riuscite di Andrea Vitali. I misteri e le tresche di paese,
gli affanni dei carabinieri e le voci che si diffondono incontrollate e senza
posa, come le onde del lago, inebriate e golose di ogni curiosità, come quella
della principessa eritrea Omosupe, illusionista ed escapologa, principale
attrazione del circo Astra per le sue performance, ma soprattutto per il suo
ombelico scandalosamente messo in mostra. E per la quale, così si dice, ha
perso la testa un giovanotto scomparso da casa…
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