Dopo il successo
internazionale di Trotula, la biografia romanzata della prima donna
medico-ginecologo dell’umanità, che in Germania ha venduto seimila copie nel
primo mese di uscita, Paola Presciuttini si cimenta con un nuovo romanzo
storico di ambientazione medievale. Questa volta siamo nella sua Firenze e il
periodo è quello della “Grande Assassina”: la Peste Nera che funestò la città
dal 1348. Protagonisti di questa storia sono gli appartenenti a una famiglia di
macellai, come gli antenati dell’autrice. Mentre l’opulenta città si avviava
verso le fortune più sfrenate, il volenteroso orfano Torello trova negli occhi
di un’enorme chianina la vocazione: farà il macellaio. Per uscire dalla sua
condizione, Torello (detto “del Verro” per un incontro/scontro con il temibile
suino) cede il suo primogenito, Orso, un bel bimbo dai capelli rossi la cui
madre è morta di parto. Torello scambia Orso per un carretto e un cavallo: i
primi beni di quello che diventerà un membro di spicco della corporazione dei
Beccai. Nel frattempo arriva un secondo amore: Amalia la speziale. Donna
istruita e intelligente che “aveva i capelli color delle ali di un corvo”.
Dalla seconda moglie Torello del Verro ottiene due nuovi figli: Lupo e Falco,
il primo viene nascosto a Ponte a Mensola, dal nonno Gerundio dello Scalo,
speziale rinomato, a causa di una malformazione al viso. Questa bruttura
all’epoca costava la vita ai bambini e alle madri. Lupo si salva grazie
all’amore di Amalia e di suo padre che decidono di farlo vivere e di istruirlo.
Lupo è uno dei personaggi più complessi del romanzo: se possiamo paragonare questo libro a un
giallo il cui “assassino” è la causa della terribile epidemia, Lupo è il nostro
detective! Edotto dal nonno e da un certo dottor Ludovico, cacciato dall’ateneo
di Bologna perché in odore di eresia, il secondogenito di Toro impersona quello
spirito “alla Trotula” che fa intravedere la modernità all’interno dei secoli
bui del Medioevo. I fratelli, compreso
il giovane Falco, indirizzato sulle orme dell’importante padre, si ritrovano
presso il palazzetto di Torello, al suo capezzale, il giorno della sua
dipartita. Orso è stato mandato al funerale dall’avida moglie Vanna, che gli
impone di andare a chiedere l’eredità che gli spetta dal suo padre naturale. Chissà
come sarebbero finite le questioni di discendenza del facoltoso e rinomato
beccaio del Verro se “non fosse giunta la grande mannaia che batté per mesi a
casaccio sul tagliere della città, del mondo e della storia, separando tutto
ciò che fino a un attimo prima pareva essere unito.” Lupo ha un’intuizione.
Carica due muli e decide di allontanare la madre, i fratelli e i figli del
migliore amico del padre (il pellicciaio Gabriello) dalla città funestata dalla
peste. La prostituta Fiorenza e il sellaio dei muli si aggiungono alla
combriccola. Ma con ancora Firenze in vista Gaspare, il figlio di Orso e Vanna,
si ammala e i genitori terrorizzati lo abbandonano legato a un albero. Passa
qualche mese e Orso è il primo a fuggire dalla cantina della casa di Gerundio a
Ponte a Mensola (a pochi chilometri a nordest dell’attuale Firenze) per trovare
la morte nella casa del patrigno, dove si era recato a cercare dell’oro. Lo
segue la moglie Vanna, che incappa invece in una combriccola di gaudenti, quei
personaggi che scacciavano la morte con la vita, la paura con l’edonismo. La
(precedentemente pia) Vanna sposa un notaio e corona in quel “mondo alla
rovescia” il suo sogno di fare la gran signora, tra fiumi di vino, banchetti
sfrenati e orge. Falco invece, fratello minore di Lupo e Orso, trova in quel
piccolo esilio la via della fede. Capendo che il comandamento “Non uccidere”
comprende anche gli animali, decide di farsi monaco per espiare i peccati della
vita del beccaio. Anche Lupo torna a Firenze e sarà questa sortita a fargli
ipotizzare che siano i morsi dei cani a diffondere il contagio, un'ipotesi
davvero vicina alla realtà. Presciuttini riporta il diario di questo curioso
personaggio: un testo di rara qualità letteraria, che arriva a tessere dei
paralleli tra la moria degli Achei di omerica memoria con la peste nera di
Firenze. Ma il diario non è solo piacevole da leggere: il ragionamento di Lupo
serve anche ad inserire dei temi cari all’autrice. Prima di tutto sfata i miti
e i pregiudizi della fede: la malattia miete vittime tra i santi e i peccatori
in egual misura; in secundis, sono proprio la bontà e l’intelligenza di Lupo a
dimostrare come i reietti della terra (in questo caso un uomo con la faccia da
mostro, ma anche la gentile e volenterosa prostituta Fiorenza) non siano “figli
del Demonio” come insegnava la Chiesa del tempo.
La morte avrà ancora
molto da dire alla famiglia del Verro e la stessa Amalia la speziale non evita
il contagio, pur attenuando le sofferenze dell’agonia con l’acqua di papavero. Un
romanzo storico di altissimo livello, come lo era il precedente Trotula, in cui
la storia della famiglia di Toro del Verro contribuisce a tracciare un quadro
della società pre-medicea. Presciuttini racconta le lotte intestine tra
“fazioni prima guelfa e ghibellina, e ora bianca e nera” che “versavano sangue
a secchiate, e quel sangue, che all’apparenza pareva tutto dello stesso colore,
in realtà cambiava continuamente tonalità dal nero al bianco, dal nobile al
borghese” e giunge nel terzo macro-capitolo “DOPO” (sottointeso “la peste
nera”) ad abbozzare il Tumulto dei Ciompi. Gaspare, quel ragazzetto abbandonato
da mamma e papà legato a un albero perché malato di febbre, sarà proprio uno
degli agitatori e colpirà senza saperlo la casa del nuovo marito di sua madre,
compiendo un matricidio degno di una tragedia greca. Così la scrittura, calata
nella storia e nella Storia al contempo, si fa veicolo di conoscenza. L’autrice
inserisce leggiadramente a ornamento della trama informazioni sullo stigma
degli Ebrei, considerati temibili untori, sulla suddivisione delle Arti, sulle
effemeridi, oppure sulla medicina del tempo. Questo non è un romanzo
necessario, ammesso ce ne siano, ma è il più brillante affresco di un momento
storico importantissimo. Questo è il nuovo romanzo della Peste Nera.
Paola Presciuttini è nata a Firenze nel 1970.
In seguito a studi artistici, letterari, filosofici e teatrali, è stata allieva
di Dacia Maraini e Lidia Ravera, e tiene da anni i propri seminari e corsi di
Scrittura Creativa e Scrittura Teatrale. Poco più che ventenne ha pubblicato il
suo primo libro di racconti, Occhi di grano (Sensibili alle foglie 1994),
tradotto in tedesco per l’editore Fischer, cui sono seguiti i romanzi Comparse
(Marco Tropea 1999), vincitore del Premio S. Pellegrino Terme 2000, Non dire il
mio nome (Meridiano Zero 2004), Il ragazzo orchidea (Gaffi 2009) e il
bestseller Trotula (Meridiano Zero 2013).
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