Forse ci voleva la sensibilità estrema e debordante
di Jean Genet ,suo amico ed estimatore, nonché frequentatore del suo Atelier
per cogliere l’essenza stessa della scultura di Alberto Giacometti. Quel Genet,
ormai idolatrato da Sartre, genio santo e martire della devastazione
dell’essere che prima di consegnarsi al silenzio creativo, scrive uno dei testi
più belli e necessari per la storia dell’arte e della creatività del ‘900:
“L’Atelier di Alberto Giacometti”. E non è un caso il titolo del suo scritto sull’amico,
perché coglie l’artista(uno dei grandi del ‘900), nel suo habitat di bellezza e
creazione, sofferenza e solitudine, estasi e lacrime, ma sempre in una sorta di
regale creatività e lotta con la materia e lo spazio, in ascolto della sua
coscienza e della sua anima, in ascolto del suo respiro e il respiro del mondo.
E vediamo cose scrive di essenziale Genet su Giacometti: “ La solitudine, come
la intendo io non vuol dire affatto condizione miserevole ma piuttosto segreta
regalità, profonda incomunicabilità, senso più o meno oscuro di un’invisibile
singolarità”. In effetti nessuno a mio avviso ha colto e interpretato come
Giacometti la fragilità e la transitorietà dell’esistenza, ingaggiando per
tutta la vita un corpo a corpo con la materia, lo spazio e l’essenza
dell’essere umano. (Donato Di Poce)
Photo by kumoma lab on Unsplash
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