Gentile e severa è la
voce di Lucia Iovino in Di me e degli altri. Certa che nell’Io si assuma il
cosmo e che dunque “gli altri” non siano, come asseriva Sartre, l’inferno, ma
lo specchio franto di cui ogni scheggia è pixel della propria immagine, Lucia
Iovino non soccombe alla tentazione di Narciso, non affoga nel proprio riflesso
ma combina sé stessa nella Moltitudine cantata da Whitman. Dunque quello che ci
propone giammai sarà un selfie modarolo, catturato dalla precarietà di un
social che è cortile di tutti e di nessuno, quanto un vero e proprio
autoritratto deliberato in un Io plurale, dove i versi ambiscono a farsi tinta,
a restituire il senso profondo del colore sfidando l’impossibilità del dire che
è l’eterno agone della poesia (…nel giallo del sole, \dove il nero e il bianco si
perdono; Il verde di un varco \sui confini di una identità \perché la libertà non
sia solitudine; …Il rosso dell’arte \che incendia una tela.). Il NOI si
esplicita come empatia vitale. È una indulgenza materna che desume del prossimo
la gioia e il dolore per restituirli in versi, liberi e compatti, come piccoli
grandi doni che risarciscano di quella vita che deve diventare esistenza
(Finisce la vita \ comincia l’esistenza). La vita per Lucia Iovino è cosa
“terribile e meravigliosa” (Navigo a vista \sul mio veliero di emozioni
\tenendo la, \concretezza e lucidità, \rotta fra nebbia e follia solcando le
tempeste e le lagune \della mia terribile, splendida vita) e si declina in
anafore che sciolgono mantra per impetrare la felicità e rendere ragione della
sofferenza secondo l’idea orientale del duale, yin e yang, il Bene e il Male,
il bianco e il nero (La vita è un gioco di vuoto e pieno) che affinché la vita
sussista devono coesistere. (Antonella Del Giudice)
Lucia Iovino è nata a Torre
Annunziata. Ha lavorato nella scuola ma la poesia è da sempre la sua passione. Questo
è il suo primo libro.
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