Nella primavera del
1961 Hannah Arendt viene inviata dal settimanale «New Yorker» a seguire il
processo ad Adolf Eichmann, il gerarca nazista rifugiato nel 1945 in Argentina,
rapito dal Mossad nel 1960, processato per genocidio l'anno successivo e
condannato a morte per impiccagione nel 1962. In quella circostanza Arendt
diviene amica di Leni Yahil, storica di origine tedesca e studiosa della Shoah.
Inizia così una corrispondenza che alterna questioni personali, filosofiche e
politiche. Nel 1963, dopo la pubblicazione degli articoli sul processo
Eichmann, riuniti poi nel volume «La banalità del male», il rapporto tra le due
donne si interrompe bruscamente. Nella più controversa delle sue opere, Arendt
sostiene che il male perpetrato da Eichmann sia da attribuire a una completa
inconsapevolezza sul significato delle proprie azioni e solleva il tema della
responsabilità dei capi delle comunità ebraiche nell'aver agevolato la politica
di sterminio nazista. Il tentativo di Yahil di far rivivere la corrispondenza
con Hannah Arendt otto anni più tardi è destinato a fallire. L'amicizia tra le
due donne non riesce a reggere la polemica suscitata dal processo e dal libro.
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