In questo libro
Alessandro Barbero ci offre una nuova ricostruzione della battaglia e il
racconto appassionante di un fatto storico che ancora ci interroga sul nostro
essere una nazione. Da cent’anni la disfatta di Caporetto suscita le stesse domande:
fu colpa di Cadorna, di Capello, di Badoglio? I soldati italiani si batterono
bene o fuggirono vigliaccamente? Ma il vero problema è un altro: perché dopo
due anni e mezzo di guerra l’esercito italiano si rivelò all'improvviso così
fragile? L’Italia era ancora in parte un paese arretrato e contadino e i limiti
dell’esercito erano quelli della nazione. La distanza sociale tra i soldati e
gli ufficiali era enorme: si preferiva affidare il comando dei reparti a
ragazzi borghesi di diciannove anni, piuttosto che promuovere i sergenti –
contadini o operai – che avevano imparato il mestiere sul campo. Era un
esercito in cui nessuno voleva prendersi delle responsabilità, e in cui si
aveva paura dell’iniziativa individuale, tanto che la notte del 24 ottobre 1917,
con i telefoni interrotti dal bombardamento nemico, molti comandanti di
artiglieria non osarono aprire il fuoco senza ordini. Un paese retto da una
classe dirigente di parolai aveva prodotto generali capaci di emanare circolari
in cui esortavano i soldati a battersi fino alla morte, credendo di aver
risolto così tutti problemi.
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