La danzatrice di Izu
non è una vera love story, ma evoca una situazione tanto universale quanto vaga
e difficile da descrivere: il passaggio, nella giovinezza, di una possibilità
che accende l'immaginazione senza realizzarsi. Dalla postfazione di Giorgio Amitrano
«La danzatrice, che
giaceva proprio lì ai miei piedi, arrossì e si coprì il viso con le mani.
Divideva il futon con una delle ragazze più grandi. Era ancora truccata dalla
sera prima. Le restavano tracce di rosso sulle labbra e intorno agli occhi.
vederla appena svegliata, e così emozionata, mi diede una strana tenerezza.
Forse infastidita dalla luce, si girò dall'altra parte, quindi, con le mani
sempre sul viso, scivolò fuori dal futon e si sedette sul pavimento del
corridoio. "Grazie per ieri sera" disse, poi si inchinò con
delicatezza verso di me, che ero ancora in piedi, confondendomi.»
Scritto nel 1926 e
divenuto a partire dal dopoguerra immensamente popolare, "La danzatrice di
Izu" è la storia dell'iniziazione di uno studente che, per scacciare i
suoi «tormenti di ventenne», si mette in viaggio verso la penisola di Izu. Un
viaggio - nei colori autunnali di boschi incontaminati, catene montuose e
scoscese vallate - che lo segnerà per sempre, giacché, grazie all'incontro con
una giovane artista girovaga, scoprirà la pura bellezza. Kaoru ha lunghe gambe
che rendono il suo corpo simile a un giovane albero di paulonia, occhi
magnifici, e quando ride pare che sbocci: ma soprattutto colpisce in lei la
semplicità piena di stupore, il candore infantile nel mettere a nudo i
sentimenti. Effimera, evanescente, ineffabile nella sua assoluta naturalezza,
la bellezza è dunque - come ci rivelano due magnifiche conferenze del 1969 che
costituiscono il secondo pannello di questo libro - 'ichigo ichie', cioè incontro
unico e irripetibile, miracolosa combinazione di elementi insostituibili: come
il prezioso tè che viene raccolto nella prefettura di Shizuoka la
ottantottesima notte dopo l'inizio della primavera, capace di regalare eterna
giovinezza, lunga vita e salute. Scoprire e registrare fugaci momenti di
bellezza nell'arte, nella natura, nella vita di ogni giorno, e insieme la gioia
e il dolore che suscita la sua impermanenza è precisamente, per Kawabata, la
funzione della letteratura giapponese.
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