Per raccontare gli
strappi della vita occorrono parole scabre, schiette. Di quelle parole
Donatella Di Pietrantonio conosce il raro incanto. La sua scrittura ha un
timbro unico, una grana spigolosa ma piena di luce, capace di governare con
delicatezza una storia incandescente.
Ci sono romanzi che
toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È
quello che accade con L'Arminuta fin dalla prima pagina, quando la
protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a
una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati,
le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia
dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde
tutto - una casa confortevole, le amiche piú care, l'affetto incondizionato dei
genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la
ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima
vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul
tavolo.
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