Parole definitive.
Scene di un finale. Interni in abbandono. Esterni desolati. Destini inchiodati.
Esistenze consumate. Tutto è già accaduto. Non c’è nulla che possa più
accadere. Chi e cosa doveva venire, avvenire, è venuto, avvenuto. Chi e cosa
doveva andare è andato. Non c’è da aspettare: niente, nessuno. Non c’è
orizzonte. Non c’è memoria. Tutto quello che si vede è solo una figura. Sono
figure superstiti quelle che guardano se stesse in questa poesia di Maurizio
Leo che sfilaccia il Novecento e s’insinua nei sotterranei di questo secolo
nuovo, di questo nuovo millennio. I paesaggi sono pozzanghere. Le creature
immobili. Le storie contratte. Il lessico essenziale, strizzato come straccio,
sorvegliato come se volesse, potesse sottrarsi, sfuggire alla trama,
addirittura al pensiero.
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