Ancora
una volta il poeta, l’artista, il mecenate, l’uomo, in un’unica intenzione, in
un’unica intuizione, ci restituiscono una realtà senza giunture, totalizzante,
una danza armoniosa di parole, pensieri, versi, ora indulgenti ora crudi. Senza
la pretesa di insegnare perché solo i poeti conoscono il nulla e vivono con parole fatte di nulla, il
poeta travasa la sua esperienza in getti di inchiostro, che si ricompongono
nella conoscenza indivisa della realtà.
Per
un uomo che soffre, che sia un poeta che tenta di r_esistere come ultimo atto
di follia o un povero cristo della diaspora dello “squallore del nostro presente”, le parole si fanno anemocore, si
aggrappano al vello dei poeti per essere disseminate, e solo quando “sposano il
vento” al poeta non resta che ricamare con punti e virgole e cucire in
versi a filo unico, per tramare la
speranza per il futuro, imparando dalle movenze antiche delle donne, che sole,
sanno ricucire le ferite del mondo.
Ci
racconta, Di Poce, di vedere il futuro con il realismo che solo un poeta
distingue, perchè in grado di trasformare la realtà moltiplicando gli
orizzonti.
Il
silenzio è una parole che ricorre e rincorre il vento, nei versi di Donato di
Poce, ci invita al viaggio, ricordandoci
che i veri “falliti, sono coloro che credono di essere arrivati”. Perché
viaggiare è un modo per ritrovarsi, anche se al nostro ritorno ci sembra tutto
cambiato l’importante non è quello che
mettiamo in valigia quando partiamo, ma quello che troviamo quando torniamo.
Il
silenzio, come la solitudine, sono sentimenti da coltivare, e mettono radici
nell’immateriale. Ed è il valore dell’immateriale che salverà il mondo
superando quei paradossi che sono la vita stessa e la scrittura.
Sembra
abbia rintracciato la via da uno dei suoi labirinti , in un lampo di luce, in
un lampo di verità giocando a nascondino ora con gli dei, ora con i bambini,
“tra pieno e vuoto, assenza e presenza” al m’ama o non m’ama con un girasole
che si lascia spogliare ma sa sempre dove è la luce, tra zolle di nulla e
parole pesanti che chiudono in bozzi di solitudine, Icaro spicca il volo da un
nido di leggerezza sprizzando creattività,
in quel dedalo che per l’artista era una prigione in cui “si entra con mille perché e si esce con una sola domanda. Perché?”
e scoprire di essere altro da sé, rileggere se stessi e riconoscersi, scoprendo
quello che non sapevamo di essere . ogni vagheggiamento si fa concretezza se
riesci a vedere la follia delle parole e
la loro sostanza, se riesci a pensare con lucida follia, le parole così, in
sbuffi di silenzio montano come nuvole e liberano solitudini e dolori e cambiano la forma e la sostanza delle cose
e poi svaniscono lasciandoci il senso più profondo delle cose, non siamo altro
da noi e per continuare la storia, per
continuare la creazione, non siamo
niente se non in relazione con gli altri, saremmo altrimenti ghiaccio e gas,
comete impazzite. per aspirare
all’armonia dobbiamo essere in consonanza,. Su questa verità cala il silenzio, Il velo della separazione è stato strappato
e l’integrazione della realtà comincia con la redenzione dell’uomo”. Le macchie di silenzio che soffocavano impronte di
respiro, si nascondevano tra i i solchi
della creazione ora si dissolvono in rivoli di inchiostro, che
attraversando boschi e foreste, buchi neri ai confini dell’anima, trovano spazi
bianchi in cui deflagrare in lampi di verità…
non c’è lana di catrame nero che resiste
Alla purezza del bianco respiro di un sogno. Non resta che
scrivere postille di silenzio, in
calce a pensieri Si dice che ogni persona è un'isola, e non è vero,
ogni persona è un silenzio, questo sì, un silenzio, ciascuna con il proprio
silenzio, ciascuna con il silenzio che è. (José Saramago) - Sora, Giugno, 2018.
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