Presentazione-dibattito
di "Romanzo caporale" di Annibale Gagliani (i Quaderni del Bardo
Edizioni di Stefano Donno) sabato 4 gennaio 2020 , alle ore 17:30, al Growlab di
Barletta, presso Corso Vittorio Emanuele, 63. Dialoga con l'autore la
giornalista di La Repubblica e Barletta Viva, Antonella Filannino.
La fine dell’uomo nel caos italiano.
Sulla terra vermiglia della Cava di Bauxite, a Otranto, il suicidio narra,
attraverso il flusso di coscienza, la vita da cacciatore di lucciole del
protagonista, che ricorda l’Alì dagli occhi azzurri di Pier Paolo Pasolini.
Un condottiero possibile del Kenya, animato da due modelli filosofici: don
Donato Panna e Thomas Sankara. La corruzione politica del suo Paese lo
costringe a fuggire in Italia col sogno di costruire un avvenire di pace per la
sua famiglia. La disumana navigazione sul Mediterraneo lo conduce in una terra
intollerante, avvolta da buio impenetrabile. Ma lui, come Sisifo, porta il
masso sopra la montagna. Diventa schiavo del caporalato, ma non s’arrende:
sfida il Fattore C sedimentato tra le sinapsi della gente comune. La
tragedia, dalla sequenza circolare, ha due insegnanti autorevoli: la storia e
il dolore. Il giovane antieroe è l’effige più lucida dello stoicismo di Lucio
Anneo Seneca.
Dalla
prefazione di Fabrizio Peronaci: «In un tempo in cui le semplificazioni e il
corrivo andare incontro agli umori malmostosi della piazza hanno un triste ma
indiscusso sopravvento, guardare le cose attraverso gli occhi azzurri e i sensi
in fibrillazione di un giovane sognatore africano può diventare operazione
poetica e rivoluzionaria allo stesso tempo. Per la sua valenza conoscitiva, per
l’umano calore che promana e per qualcosa di cui le classi governanti
(italiane, europee, planetarie) dovrebbero farsi artefici veri, al di fuori e a
prescindere dal mainstream: una cultura autentica dello scambio, del confronto
e del comune sentirsi sotto lo stesso cielo, che azzeri distanze e diffidenze
tra popoli e con esse tentazioni al comando e automatismi belligeranti. Il
protagonista di “Romanzo caporale” – alter ego in versione nero ebano
dell’autore e dei tanti perplessi e orgogliosi di essere minoranza, sulla
questione migranti, all’ombra dello zeitgeist – ha un grande merito: modificare
il punto di vista, sforzarsi di assumere una prospettiva africocentrica, ferma
restando la consapevolezza che non è il luogo natio a dirimere ma il cuore e la
passione, il sentimento della condivisione, lo stesso che orgogliosamente
conduce nei paesi più poveri e disarmati quei paladini della dignità e della
giustizia che sono i missionari, laici o con i voti poco importa. Come il
sacerdote pugliese amico del ragazzo kenyota che si propone come leader di un
movimento di liberazione politica e delle coscienze, ma finisce nel mirino
della polizia locale ed è costretto alla fuga… La trama accende una luce dove
prevale il buio dell’egoismo e della diffidenza. Dall’Africa all’Italia, dove
“le cose erano cambiate drasticamente” ma la passione tra un uomo e una donna
ha sempre lo stesso sapore, e “i baci profumano di ciliegia”, il viaggio di
Annibale Gagliani racconta la violenza ottusa degli sfruttatori e l’indomabile
istinto di fratellanza dei calpestati, la stolta ferocia della crescente
intolleranza e la fiera dignità di chi accoglie e include, nel nome di una
cristiana solidarietà e di un illuministico progresso della stirpe».
Dalla postfazione di Raffaele
Gorgoni: «È il Cuore di tenebra della porta accanto […] le pagine di
Annibale seguono, passo dopo passo, il doppio itinerario fisico e mentale di un
migrante, con la precisione straziante di chi sa, in un mondo che si accanisce
nel fingere di non sapere. Se l’abiezione del neocolonialismo è del tutto
dispiegata nella sua macabra efficacia, la non sorpresa è che l’Europa si sta,
in questo scorcio di millennio, ricongiungendo alla sua identità più degradata.
Tutto quello che si riteneva sepolto per sempre sotto le macerie della Seconda
Guerra Mondiale è più vivo che mai. […] L’Europa, l’altra Europa, quella che
dopo gli orrori del nazismo, del fascismo, del franchismo e del salazarismo e
di Vichy, scandì le retoriche del mai più, oggi balbetta la sua indignazione e
incespica in ovvietà buonsensaie. Ma il migrante raccontato da Annibale
Gagliani sa. Sa che non saranno i solidarismi pietistici e ancor meno il
charity business a strappare l’Africa e il suo popolo in fuga alla miscela
letale di neocolonialismo e insorgente razzismo che l’Occidente inietta nelle
sue stesse vene. […] Gagliani racconta con cruda nettezza che l’ultimo
domicilio conosciuto del migrante sono le estreme periferie degradate della
metropoli o i tuguri e le bidonvilles dei lavoranti in agricoltura … meglio
dire le vite nelle mani della criminalità organizzata in un caso o dei caporali
nell’altro. Il caporalato è essenza dell’essenza di questa narrazione».
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