Andromeda è la galassia
più lontana visibile da occhi umani senza l’ausilio di strumenti di
osservazione. “Occhi umani”. È la prima richiesta che colgo nello scorrere i
testi di Maria Grazia Palazzo, il suo appello a un’umanità che comprende tutti,
anche se la silloge è prevalentemente declinata al femminile e ha un portato di
analisi sulla condizione della donna. Per disegnare e collocare tale
condizione, l’autrice attraversa tempi e luoghi differenti e chiama, invoca,
evoca figure diverse di donne – mitologiche, note o silenti – per formare «un
alveare di voci», un nuovo esercito del dire a cui assegna le parole come armi,
non di offesa ma come strumento di relazione e di consapevolezza: «certe parole
lanciate/ non sono benedette ma colpi di machete» per uscire dallo «stallo dei
senza parola». (Dalla prefazione di Diana Battaggia)
In copertina
"Ippazia" in un disegno di Piero Angelini
Maria Grazia Palazzo è
nata nel ’68 in valle d’Itria. Avvocato e insegnante precaria. Negli ultimi
anni ha intrapreso lo studio della teologia e dei diritti delle differenze e
dei saperi di genere. È mamma adottiva. La sua più grande ambizione è riuscire
a vivere l’ermeneutica delle differenze amorose, tenendo insieme il piano della
quotidianità e quello dell’extra quotidiano
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