La scelta. La mia vita
nella legione straniera: Un'esistenza degna di questo nome. Cercava questo
Danilo Pagliaro quando ventitré anni fa si arruolò nella Legione. A pochi mesi
dal congedo, oggi quella vita la rivivrebbe mille volte e con attaccamento e
gratitudine ne prosegue il racconto. Non certo per esaltarne le gesta o
glorificarne il rischio e l'azione: esibizionismo e retorica non fanno per un
legionario. È per smentire le leggende e tacitare mitomani e millantatori che
il brigadier-chef torna a scrivere. Racconto dopo racconto, l'immagine della
Legione come banda di avventurieri e tagliagole, mercenari e avanzi di galera
spregiudicati si scompone. Per lasciar posto alla realtà di un corpo coeso, di
uomini che hanno rinunciato al proprio passato e alla propria identità
mettendosi al servizio della nazione. Come il brigadier-chef C., ragazzo
polacco che alla caduta del Muro è fuggito da freddo e miseria ed è venuto ad
arruolarsi, nascosto tra i respingenti dei treni merci; la recluta cinese che
si è avventurata nei ranghi senza conoscere una parola di francese; o L.,
camerata svedese che invece ci è rientrato dopo aver appreso di un suo compagno
ucciso e diversi altri feriti sotto il fuoco di un cecchino a Sarajevo, durante
la guerra in ex Iugoslavia. Militi che nei territori difficili di Repubblica
Centrafricana, Costa d'Avorio e Camerun non vanno per replicare le imprese di
Rambo, ma per affiancare la popolazione locale, spesso ricevendo in cambio
ostilità. Racconta questo l'ex legionario ai giovani che inseguono il mito
della bella morte ma gli chiedono di ferie e licenze, diritti e indennità.
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