“Siamo ancora capaci, mi
sono chiesto, di muoverci non in branco? Di cercare strade personali, sentieri
lungo cui camminare in compagnia dei nostri pensieri e niente più? Il tema
degli assembramenti – che nella lingua italiana, prima del Covid-19, significavano
un modo poco limpido e costruttivo di stare insieme – ce lo saremmo dovuti
porre molto tempo prima, quando ci si ritrovava vicini a centinaia o migliaia
non per il piacere di incontrarsi e generare amicizia, idee, progettualità,
bensì, principalmente, per consumare. Quello di abitare il mondo da
consumatore, più che da essere umano, capace per natura di pensieri, emozioni e
intuizioni straordinarie, è un problema centrale della nostra epoca, perché
questo comportamento ha un duplice, deleterio, effetto: quello di consumare noi
stessi, senza vivere appieno tutte le nostre potenzialità, e di consumare anche
i paesaggi che frequentiamo, lasciando contemporaneamente andare in malora
quelli dove le masse non arrivano. E poco importa che siano i monti e le colline
dove sorgevano i villaggi dei nostri progenitori, dove coltivavano i nostri
nonni, dove ci portavano da piccoli la domenica prima che aprissero i centri
commerciali e che oggi costituiscono i polmoni del nostro pianeta. Eppure nei
giorni di “tempo sospeso” qualche germoglio di cambiamento l’ho visto spuntare
nei boschi ai margini della città, molto più interessante degli untori contro i
quali si è scatenata la caccia da parte di quelli che erano distratti quando a
scuola l’insegnante spiegava i Promessi sposi. Ho visto bambini di solito
costretti a tour de force tra scuola, compiti, allenamenti e corsi su tutto lo
scibile umano, correre liberi sui sentieri e inventare grandi avventure. Ho
visto ragazzi che si erano inerpicati quasi per caso sulla mulattiera, per
portare a spasso il cane cui di solito pensava la mamma, tornare il giorno dopo
con gli amici più cari. E li ho sentiti parlare tra loro quasi come Thoreau:
«Volevo vivere profondamente, succhiare tutto il midollo di essa [la vita],
volevo vivere da gagliardo spartano, per sbaragliare ciò che vita non era,
falciare ampio e raso terra e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi
termini più semplici». Io sento un grandissimo bisogno di semplicità. Ma come
la pace, per cui nulla occorre, è così difficile da fare, allo stesso modo la
semplicità spesso appare all’uomo troppo complessa da abitare.” (Pietro Berra)
Pietro Berra. nato a Como
nel 1975, è giornalista, dal 2013 responsabile de L’Ordine, supplemento
culturale domenicale dei quotidiani La Provincia di Como e La Provincia di
Sondrio. Ha collaborato per dieci anni con il settimanale Diario diretto da
Enrico Deaglio. Ha pubblicato ventidue volumi tra poesia, narrativa e
saggistica. Come poeta è stato tradotto in inglese, spagnolo, rumeno, polacco e
bulgaro. Collabora con festival letterari e cinematografici, due dei quali ha
contribuito a fondare (ParoLario e Lake Como Film Festival). Coordina il Premio
internazionale di letteratura “Alda Merini” e presiede l’associazione Sentiero
dei Sogni, con la quale promuove progetti legati alla scoperta e valorizzazione
dei territori attraverso la narrazione, creando sia eventi periodici (come le
Passeggiate Creative) sia sistemi permanenti di interazione tra l’uomo e il
paesaggio (la Lake Como Poetry Way e il Parco Letterario “Da Plinio a Volta.
Viaggio nelle scienze umane”). Con I Quaderni del Bardo ha pubblicato in
precedenza le sillogi: Ode al vento. Una historia de antípodas (2015) e Atlante
salentino. Geografie poetiche di una terra estrema (2018). Il suo sito è www.pietroberra.it
INFO LINK
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