Da giovane era stato il
figlio ribelle e avventuroso di un padre violento e militarista; amava la
musica, suonando e componendo con estro; leggeva instancabilmente, e la
conversazione con i filosofi era nella sua giornata la cosa più importante;
dichiarava il re «il primo servitore dello Stato» e la «corona un cappello che
lascia passare la pioggia». Eppure, in una politica europea già spregiudicata,
Federico il Grande inaugurò un cinismo aggressivo, strumento della volontà di
potenza entrata – secondo alcuni storici – nei geni maligni dell’Europa futura;
era sleale e ingrato, «il malvagio uomo» lo chiamava Maria Teresa d’Austria. Si
reputava un philosophe innanzitutto: strano philosophe che disprezzava
l’umanità. Figura doppia, contraddittoria, enigma sfuggente, e quindi soggetto
ideale per una biografia.
Alessandro Barbero –
storico, storico militare, premiato scrittore di romanzi storici, curatore di
programmi culturali in televisione – parte dal dettaglio della vita quotidiana
del monarca prussiano, per condurre il lettore a riflettere su cos’è la
grandezza nella storia, e cos’era nel Settecento la grandezza. In un procedere
incalzante e pieno di brio, come una conversazione, che rende l’esattezza del
saggio seducente quanto un bel racconto.
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